Rifiuti: storia del futuro della raccolta differenziata
FIRENZE – Perché dobbiamo differenziare i nostri rifiuti? Va bene la raccolta porta a porta? Meglio la discarica o il termovalorizzatore? Queste alcune delle numerose domande rivolte – in un serrato dibattito mercoledì 4 marzo al Rotary Firenze Nord – a Livio Giannotti, presidente di Revet spa, la società che in Toscana cura la raccolta e l’avvio al riciclo di vetro, plastica, alluminio, acciaio e tetrapak. In una parola il «multimateriale» depositato in forma selezionata negli appositi cassonetti dai cittadini toscani. Ma non sono mancate domande anche sulla quotidianità della raccolta in città con un interlocutore come Giannotti, che per alcuni anni è stato amministratore delegato di Quadrifoglio spa e poi di Alia Servizi Ambientali spa, la società concessionaria del servizio d’igiene urbana di Ato Toscana Centro (Firenze-Prato-Pistoia).
TROPPE E COSTOSE DISCARICHE
«Il sistema di smaltimento in Italia è ancora troppo basato sulle discariche – risponde subito Giannotti – che ricevono ancora circa il 26% dei rifiuti urbani. In Germania ormai in discarica ci va l’1%, una piccolissima parte di alcune ceneri dei termovalorizzatori. Ma non basta. Le discariche oltre a rappresentare uno spreco di territorio, devono essere gestite per 30 anni (in Toscana per 50 anni) anche dopo la loro chiusura. Tra manutenzioni, controlli, smaltimento dei percolati (liquidi reflui inquinanti n.d.r.) sono un costante costo per la collettività».
PERCHÉ LA RACCOLTA DIFFERENZIATA
È proprio necessaria la raccolta differenziata? «Solo differenziando i rifiuti per merceologia, possiamo trasformarli in nuova materia (la cosiddetta Mps, Materia Prima Secondaria) alimentando così nuovi cicli produttivi, con risparmio di preziose materie prime presenti sul nostro pianeta». Giusto, osserva qualcuno, ma il problema è educare il cittadino a collaborare alla gestione di un servizio pubblico a pagamento. «Occorre un’azione di grande sensibilizzazione ed educazione della popolazione – risponde – perché questa prassi diventi naturale e non una costrizione che magari complica ancora di più la vita di tutti i giorni. Soprattutto nelle città e nei centri più densamente popolati».
L’ESPERIENZA DEL PORTA A PORTA
E la raccolta porta a porta? «Non funziona, meglio il cassonetto» dicono in molti. Giannotti, che si aspetta la domanda, risponde che si confrontano due modelli. «Quello ‘ideologico’ del sistema di raccolta domiciliare (porta a porta) che obbliga l’utente a rispettare conferimenti delle varie frazioni in giorni ed orari prestabiliti. E quello industriale, basato sulla raccolta stradale con contenitori diversificati. Questa modalità è molto più agevole per l’utenza, ma a causa della scarsa educazione e attenzione, è meno efficace in termini di qualità del rifiuto conferito al cassonetto. Per questo motivo si stanno sviluppando sistemi di chiusura delle ‘bocche di conferimento’ che si aprono solo con sistemi digitali di riconoscimento e controllo dell’utenza». Insomma si va sempre più verso il cassonetto «monitorato» dove non sarà più possibile gettare anonimamente quello che si vuole. Come in Svizzera, tanto per fare un esempio.
RACCOLTA O RICICLO, COSA CONTA DI PIÙ ?
«Scusi dottore ma in Italia conta più la raccolta o il riciclo dei rifiuti?» viene fatto osservare. Giannotti sorride e prende fiato. «È proprio questa una delle maggiori criticità. Da noi si danno obiettivi percentuali di raccolta differenziata e ma non del riciclo della materia. Solo recentemente con l’emanazione della Direttiva Europea sull’Economia Circolare, l’Unione ha indicato gli obiettivi di riciclo. Ora però ci vuole la legge nazionale di recepimento, che ancora tarda. Con la conseguenza che a livello politico-istituzionale prevale l’attenzione al raggiungimento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata. E lo dico ancora più chiaramente. Sono quelli che con cui si fa bella figura perché si va sui media o la tal associazione ti dà il premio di ‘Comune riciclone’. In una parola si fanno tante chiacchiere, mentre si trascura totalmente di occuparsi degli impianti industriali necessari per riciclare la raccolta differenziata. Anzi, spesso si accondiscende alle posizioni di comitati e comitatini che si oppongono a questa e quella localizzazione di un impianto industriale».
Difficile interrompere a questo punto Giannotti, che incalza: «Ma non basta. Va anche considerato il fatto che, tolta la parte organica del rifiuto (gli scarti di cucina, sostanzialmente) la normativa invece di essere indirizzata alla tipologia di materia da raccogliere riguarda la materia dei soli imballaggi immessi al consumo. Ecco perché talora è difficile comunicare ai cittadini che nel contenitore del vetro possiamo mettere le bottiglie ma non un bicchiere di vetro. Oppure nel contenitore delle plastiche dove portiamo bottiglie di pet o flaconi dei detersivi, non possiamo mettere un gioco di plastica rotto… E si potrebbero fare molti altri esempi per ogni tipologia di materiale».
TROPPA POLITICA
E qui arriva la domanda più ‘impertinente’ per un manager di un settore a partecipazione pubblica: «Secondo lei la politica in che rapporto è con il problema dei rifiuti?». Giannotti ti guarda fisso negli occhi e non ha esitazioni a rispondere. «La mia esperienza – dice il presidente di Revet spa – mi fa dire che i rifiuti sono purtroppo diventati un tema di consenso politico mentre negli altri Paesi è sempre stato un fatto tecnico. Certo, il decisore politico-istituzionale deve legittimamente definire gli obiettivi per la comunità che governa o amministra. Dovrebbe però poi lasciare ai tecnici e quindi alle tecnostrutture industriali, al mercato, il ‘come’ raggiungere tali obiettivi. E quando evoco il termine ‘industriale’ mi riferisco a quel mix di competenze gestionali e infrastrutture impiantistiche capaci di risolvere il problema in maniera efficiente con costi competitivi e/o sostenibili nel rispetto delle politiche di salvaguardi e miglioramento ambientale».
IL CASO FIRENZE
Si riferisce ai termovalorizzatori, vero? «Il caso dei termovalorizzatori è significativo. In Germania va a recupero di energia il 31% dei rifiuti e in Italia il 21%. Nel caso dell’area fiorentina – e mi riferisco all’impianto progettato a Case Passerini a Sesto Fiorentino – il Presidente della Regione Toscana incomprensibilmente non ha voluto apportare una banale correzione all’autorizzazione come indicato da una sentenza del Consiglio di Stato, introducendo la prescrizione a carico degli Enti (ex Provincia e/o Regione) di realizzare 20 ettari di nuovo bosco. Di fatto è stato mandato in fumo un investimento già bancato di 140 milioni di Euro, che avrebbe beneficiato di 50 milioni di Certificati Verdi, che avrebbe immesso in rete 17 Megawatt di energia elettrica e ceduto quella termica per alimentare una rete di teleriscaldamento. Sarebbero stati impiegati 200 addetti per la costruzione dell’impianto e creato nuovi 60 posti di lavoro per la sua conduzione. Ma soprattutto avrebbe risolto definitivamente la vergogna del trasporto su gomma dei rifiuti alle discariche di Peccioli e di Rosignano agli impianti del Nord Italia, con notevole beneficio per le tasche dei contribuenti».
I TERMOVALORIZZATORI SERVONO
«Insomma il termovalorizzatore serve davvero o no?» taglia corto qualcuno in sala. «In Italia anche raggiungendo gli obiettivi del 70% di raccolta differenziata avremo sempre un 30% di rifiuto residuo e gli scarti degli stessi processi di riciclo. E non dimentichiamo che parliamo sempre e solo dei rifiuti urbani che sono solo un terzo dei rifiuti totali! I rifiuti ospedalieri devono essere necessariamente termo distrutti. E i rifiuti industriali quanto li facciamo viaggiare? In conclusione: dobbiamo differenziare bene i rifiuti, dobbiamo costruire molti impianti per il riciclo, ma abbiamo bisogno anche di qualche termovalorizzatore per la parte di rifiuti non riciclabile dai quali però possiamo recuperare ancora energia».
FINALE CON QUIZ
La serata al Rotary Firenze Nord con il dottor Giannotti si è arricchita anche di un «quiz», proposto dal Club ai propri Soci, per sondare la propria preparazione sul tema della raccolta differenziata. Una scheda dal titolo «Questo dove lo getto?» con 20 domande è passata tra i tavoli, mettendo a dura prova la conoscenza in materia da parte dei partecipanti. Non tutti sanno che i bicchieri di vetro devono andare ai centri di raccolta mentre le bottiglie possono andare nel multimateriale insieme alle bottiglie di plastica. E che le lampadine tradizionali di vetro vanno nell’indifferenziato. Dove dovrebbe andare anche lo scontrino di carta, per le sue componenti chimiche. E i cartoni della pizza e tovaglioli sporchi di cibo? Inequivocabilmente nell’organico. Facile vero? Il risultato del sondaggio non è stato molto incoraggiante. Nessun 20/20 con una sola eccezione di 16/20 e una media di 7-8 risposte esatte. C’è spazio per migliorare.
QUI IL DIZIONARIO DEI RIFIUTI
Scarica qui la guida a una corretta raccolta differenziata pubblicata da Alia spa Servizi Ambientali